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Marie-Jeanne Urech

La sindrome della testa che cade

« Arthur Bellange sospirò a lungo prima di scomparire sotto la sua sciarpa. Un viale di faggi maestosi lo scortò fino alla porta d’entrata in acciaio. Lui s’aggrappò alla sua convocazione e svanì nel cemento. L’orco lo inghiottì con una smorfia, come se avesse masticato un granello di pepe. »

Giù in cantina gli sgobboni sono intenti a sbrigare lavori senza senso. Gli esseri umani si sono tramutati in insignificanti rotelle di un ingranaggio e rispondono tutti al nome «Blanchard»; unicamente l’appellativo indica il differente grado gerarchico: in cima regna «Sua Altezza Serenissima Brillante e Pantheonica… Molto Caro Signor Bianchini».
Arthur Bellange è uno di questi uomini e se ne sta tutto il santo giorno nello scantinato a tracciare linee in rialzo, da in basso a sinistra fino in alto a destra: più le linee tendono verso l’alto, più l’azienda ha successo. A differenza dei suoi colleghi, Schöngengel si concede un briciolo di autonomia, non dimenticando il proprio vero nome e prendendosi la domenica libera. Cose di questo genere non vengono sanzionate, in quanto la ditta non è una dittatura ma un semplice tran tran quotidiano.
«La sindrome della testa che cade» illustra un universo all’apparenza assurdo – nel quale Kafka e Orwell si incontrano – al servizio del profitto dell’azienda. Il mondo dei mercati azionari viene rappresentato in modo estremamente divertente e perfido. Marie-Jeanne Urech ha architettato una parabola meravigliosamente dissacratoria, illuminata da un linguaggio sobrio e al contempo preciso, che si conclude con il fallimento della ditta quando ad un tratto il signor Bellange inizia a disegnare alberi al posto delle linee.

(Beat Mazenauer, trad. di Paola Gilardi)

Traduzione del titolo: Le syndrome de la tête qui tombe

L. Tuffani, Ferrara 2008

ISBN: 978-88-86780-71-1

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